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venerdì 30 maggio 2014

Pane, nduja e fantasia !

Ho sempre considerato una fortuna avere sangue misto nelle vene. Mi ha permesso fin da piccolo di avere quasi una doppia vita. Le vacanze estive dai parenti in Calabria, più che vacanze le vivevo come esperienze di teletrasporto che mi permettevano di esplorare un mondo parallelo.
Tutto è agli antipodi rispetto alla toscana: dalla cultura al paesaggio, dal clima al cibo, dallo stile di vita al costo della vita. Arrivi e sei subito immerso in panorami lunari, in cui domina il giallo sterminato e ancestrale delle sterpaglie secche. E' uno schiaffo visivo che precede di poco lo schiaffo dell'afa soffocante pronta ad accoglierti alla stazione di arrivo dei treni.
L'aria è pesante e densa. Pregna. Ti avvolge e ti contiene. Ti costringe ad un perenne stato catatonico e sonnolento. Personalmente dormivo una media giornaliera di 14-16 ore e mi  ritenevo sacrificato.
La mia giornata tipo era scandita da sveglia alle 10. Spiaggia, pranzo, riposino pomeridiano di 3-4 ore, spiaggia, cena, sonnellino notturno di 11-12 ore. Vegetavo. Ma era impossibile fare altrimenti.
Tutto era predisposto per avere la vitalità di un bradipo fatto di lexotan, a cominciare dal cibo.
Non esiste niente che non richieda come minimo cinque ore di digestione.
Mia nonna friggeva melanzane per la parmigiana alle sette di mattino, preparava le polpettine per la pasta al forno alle nove, bolliva le uova per la parmigiana e per la pasta alle 11. Eppoi sugo, formaggi, salame piccante, pesce in salamoia, dolci ipercalorici.
O possedevi le pareti dello stomaco foderate di amianto, o  venivi digerito tu stesso, divorato dalla gastrite. Anche soltanto ipotizzare una semplice pasta al pomodoro, viene considerata un'offesa dinastica fino alla settima generazione. Tutto deve essere ripieno, farcito, intriso, speziato, occupato.
Gli orari poi, sono pazzeschi. Mia nonna, che cenava "presto", verso le 21 cominciava ad apparecchiare, ma erano tentativi velleitari. Non facevi in tempo a mettere i piatti, che il citofono suonava. Parenti in visita. Via i piatti, via la tovaglia.
Al nord se senti suonare il campanello, ti preoccupi. In genere ti vogliono vendere qualcosa, oppure son testimoni di Geova. In Calabria son parenti che vengono per intrattenerti, parlare del più e del meno.
ALLE 9 DI SERA !!!!
Non è che li devi invitare. Vengono da soli. Mai prima delle 21. Poi ti guardano pietosi, dopo una mezzoretta e ti chiedono: "Ahhh, ma voi dovete mangiare ??".
Scherzi ??? A quest'ora ?? Al limite un pre-aperitivo !!
Escono. Corri a riacchiappare la tovaglia, riprendi le stoviglie e.....DRIIINNNN !!! Via la tovaglia, via le stoviglie. Altri parenti. Con orde di figli sterminati, che urlano e corrono e devastano !!
Alle 22 al terzo tentativo, in genere si cenava, non prima di aver pregato. Sapete per che cosa, no ?
Poi arriva il momento del riposo notturno. Ma quando la temperatura minima non scende sotto i 34 gradi e le zanzare planano incazzate come condor ingolositi da carogne, il sonno diventa l'ultimo dei pensieri. Infatti, alle tre di notte ritrovavi tutto il condominio fuori dai rispettivi balconi, che conversava con i vicini in una seduta di pettegolezzi notturna. Dal canto mio,non avendo le forze, preferivo farmi carogna per i pappataci e dormire comunque.
Un anno la temperatura massima arrivò a 47 gradi. L'asfalto liquefaceva e le macchine s'incendiavano da sole, ma avevi la comodità che quando uscivi di doccia, tre secondi fuori e la testa era asciutta. Ntu culu all'asciugacapelli !!! (cazzu, cazzu).
Mi rendo conto che sto tracciando i confini dell'inferno, mentre in realtà io amo questa terra.
Amo la sacrale accoglienza delle persone, amo un certo fatalismo che è concreto e non rassegnato, amo i colori, gli odori e le voci dei mercati rionali.
Amo il peperoncino.
Molto più di una spezia: incarna il carattere dei calabresi, la loro vigoria ed esuberanza unita al fascino della socievolezza disinteressata. I calabresi son come il loro peperoncino: piccanti. Ma ti lasciano la bocca buona.









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